Il jeans, ancora una volta, icona del cambiamento

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  Il jeans ha un fascino intramontabile, tuttavia non bisogna dimenticare che genera un impatto ambientale importante. Per ridurlo, si fanno strada diversi progetti sui fronti del design e del riciclo. di Redazione Nel mondo occidentale, il jeans è sicuramente il materiale più iconico nel settore tessile e nella moda in generale. Il più versatile e anche il più controverso, quando si parla delle sue origini. Il primo tessuto “blue jeans” pare sia stato realizzato in una fabbrica manifatturiera di Nîmes, in Francia : da qui si pensa derivi la parola denim, ma c’è ancora molto dibattito in materia. Ci sono, infatti, testimonianze ben più antiche, come alcune statuine di presepe tardo settecentesche conservate al Museo Civico Luxoro di Genova, che sembrano documentare come il jeans fosse comunemente utilizzato per confezionare gli abiti da lavoro e da festa già all’epoca. Addirittura, i pantaloni indossati da Giuseppe Garibaldi quando partì nel 1860 alla volta di Marsala erano di fustagn

Storie dal Malawi: una band di detenuti candidata ai Grammy Awards


Oggi vogliamo raccontarvi una storia che viene direttamente dal Malawi, una storia difficile ma piena di speranza e di orgoglio per questo Paese. Come dice una delle protagoniste, intervistata dal New York Times: “Le tante persone che non hanno mai sentito parlare del Malawi adesso possono dire che c’è un paese chiamato Malawi”.

Questa storia nasce dal carcere di massima sicurezza di Zomba, nel sud del paese. La prigione è stata costruita durante il periodo coloniale inglese per accogliere circa 350 detenuti. Oggi la stessa struttura ospita circa 2.000 persone. E’ possibile quindi immaginare quanto siano difficili e pesanti le condizioni di vita all’interno del carcere.


Nel 2013, il produttore americano Ian Brennan e la documentarista italiana Marilena Delli visitarono la prigione di Zomba con lo scopo di dare la possibilità ad alcuni detenuti di registrare un album. Brennan si rese disponibile per tenere dei corsi sulla prevenzione della violenza e sulla gestione dei conflitti. In soli dieci giorni sono riusciti a registrare un album con 20 canzoni, quasi tutte in lingua Chichewa, coinvolgendo 14 detenuti e 2 guardie. I prigionieri coinvolti sono reclusi con diversi capi d’imputazione, compresi l’omosessualità e la stregoneria, per i quali in Malawi si viene ancora puniti severamente. Una delle guardie invece fa parte di una band e aveva già iniziato a insegnare musica ai detenuti nel 2008.


Parte dei proventi raccolti dalla vendita dell’album sono stati utilizzati per pagare la rappresentanza legale di alcuni dei partecipanti al progetto.  Grazie a questa opportunità, tre detenute hanno ottenuto la revisione del loro processo e sono state successivamente rilasciate. Più in generale questa iniziativa ha posto in evidenza l’inefficienza del sistema giudiziario e soprattutto le drammatiche condizioni di vita dei bambini nati in carcere e costretti, senza avere nessuna colpa, a rimanere in prigione insieme alle loro madri fino al termine della pena.

Nel 2016 l’album I Have No Everything Here è stato nominato ai Grammy Awards: il progetto è stato portato dalla stampa internazionale e successivamente ha ricevuto diversi riscontri positivi della critica. Nonostante la candidatura e l’eco della stampa mondiale il Grammy non è arrivato, ma lo Zomba Prison Project ha vinto l’Emmy Award come “Outstanding Feature Story In A News Magazine”
Vi lasciamo qui sotto un breve video che vi racconta di questo progetto e l’articolo del New York Times, dove potete leggere le storie di tutti i partecipanti.


A presto con altri racconti dal Malawi!

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