TCE, un progetto "modello" per contrastare l'HIV
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Circa il 65% delle persone che convivono con il virus dell'HIV si trovano nel continente africano. Il programma TCE (Total Control of Epidemic) di Humana punta, fra le altre cose, a favorire una diagnosi tempestiva della malattia ed è stato adottato come modello dai diversi governi, tra cui quello della Namibia.
di Alessandra Di Stefano
Era il 5 giugno 1981 quando i Centri
per il controllo e la prevenzione delle malattie degli Stati Uniti segnalarono
un inspiegabile aumento dei casi di polmoniti e di una rara forma di tumore dei
vasi sanguinei, il sarcoma di Kaposi, nelle città di Los Angeles, San Francisco
e New York. Fu il primo allarme legato all’AIDS. Dalla scoperta dei primi casi sono passati 40 anni, nei quali l’HIV ha
colpito oltre 75 milioni di persone in tutto il mondo. A causa della
malattia e di patologie correlate sono morte oltre 39 milioni di persone mentre,
solo nel 2020, sono stati registrati 1,5 milioni di nuovi casi. Le Nazioni
Unite hanno inserito la lotta all’AIDS tra gli Obiettivi di Sviluppo
Sostenibile con lo scopo di debellare entro il 2030 l’epidemia (OSS 3).
Nonostante siano stati compiuti importanti passi in avanti, gli sforzi non
risultano sufficienti. Se nei Paesi occidentali l’AIDS è diventata una malattia
cronicizzata che si può tenere sotto controllo con la giusta terapia
antiretrovirale, nel Sud del Mondo persistono enormi disparità nel tracciamento
e nell’accesso alle cure. Secondo gli
ultimi dati forniti da UNAIDS sono 38 milioni le persone che convivono con il
virus e di queste oltre 25 milioni si trovano nel continente africano. L’Africa
Subsahariana è l’area geografica più colpita dall’epidemia. Le difficoltà
di accesso ai servizi di cura, la scarsa preparazione dei sistemi sanitari
nazionali e comportamenti socio-culturali errati, aumentano il rischio di
contagio. La pandemia da Covid-19 ha reso evidenti le debolezze a tutti i
livelli (globale, regionale, nazionale) e ha aggravato il mancato
raggiungimento dei target ONU 2020, tra cui quello di portare sotto le 500 mila
unità il numero delle nuove infezioni e dei decessi. Per il quinquennio 2021-2026, le Nazioni Unite hanno quindi lanciato
una nuova strategia di contrasto all’epidemia (“END INEQUALITIES. END AIDS”) che evidenzia la necessità di un
cambio radicale nell’approccio alla malattia. Studi e ricerche hanno
evidenziato che per sconfiggere l’AIDS occorre combattere disuguaglianze e
discriminazioni, mettendo le persone al centro di ogni strategia sanitaria. In
molti Paesi a basso e medio indice di sviluppo le disparità socio-economiche
come povertà, disoccupazione e disuguaglianza di genere sono il principale
ostacolo nella lotta al virus.
La Federazione Internazionale Humana People to People è attiva da oltre
20 anni nella lotta contro l’HIV/AIDS attraverso un programma specifico chiamato
TCE (Total Control of Epidemic). Si tratta di un modello di intervento
innovativo che dal 2000 ha raggiunto oltre 21 milioni di persone in 12 Paesi in
Asia e Africa Subsahariana. Come in tutti i programmi di cooperazione
implementati da Humana, l’approccio utilizzato con il TCE pone al centro
dell’azione le persone e la comunità. Sotto il motto: "Solo le persone possono liberarsi dall'AIDS "
il programma ha aiutato migliaia di persone, fornendogli gli strumenti per
combattere l'HIV/AIDS e vivere una vita dignitosa. Il programma punta a favorire la diagnosi tempestiva e l’accesso
precoce alle cure e a combattere lo stigma e la discriminazione mediante il
lavoro attivo all’interno della comunità. Attraverso test e cure a
domicilio i volontari impiegati nel programma si assicurano che le persone
seguano in modo corretto le cure e che queste siano efficaci per abbattere la
carica virale del virus. Il lavoro di Humana è allineato con i principali
programmi delle Nazioni Unite per la lotta all’HIV/AIDS tra cui la strategia
95-95-95[1]
ed è riconosciuto come modello di intervento virtuoso apprezzato dai principali
attori internazionali impegnati nella lotta all’AIDS. Il lavoro del TCE è in
continua evoluzione. In Namibia, dove
Humana lavora a stretto contatto con il Ministero della Salute e con il CDC
(United States Centre for Disease Control and Prevention), è stata implementata
una nuova metodologia per testare i malati di HIV nota come Index Partner Testing. Questo nuovo
strumento ha ottenuto enormi risultati tanto che il PEPFAR, il programma
statunitense per la lotta all’HIV, vuole sperimentarlo anche in altri Paesi
africani. Infatti, a differenza dei classici test porta a porta, l’Index Partner Testing mira a testare i
partner delle persone risultate positive al test con un significativo aumento nell’individuazione
di nuovi dal 2 al 7.7%.[2]
I Paesi nei quali opera la Federazione sono tra i più colpiti dalla diffusione del virus dell’HIV
e hanno sistemi sanitari fragili; per questo la diffusione della
pandemia ha reso necessario un enorme sforzo per non vanificare i progressi
raggiunti negli ultimi anni. Il TCE ha
rafforzato la propria azione verso i gruppi più a rischio e le popolazioni più
vulnerabili dando priorità a chi ancora non ha
accesso ai servizi e ai trattamenti.
Dopo 40 anni di lotta al virus, la
crisi pandemica da Covid-19 ha messo in evidenza quanto siano importanti il
lavoro congiunto e l’approccio collaborativo tra i diversi settori della
società: governi, settore privato, mondo accademico, organismi di finanziamento
intergovernativi e società civile. Il Covid ha messo in luce quanto sia fragile
il mondo nel quale viviamo. Solo lavorando insieme per una società più equa,
sostenibile e solidale l’umanità potrà sconfiggere l’HIV e le altre sfide che
si troverà ad affrontare.
[1] La
strategia 95-95-95 delle Nazioni Unite prevede che entro il 2030 il 95% delle
persone affette da HIV conosca il proprio status, che il 95% delle persone che
hanno contratto il virus sia sotto trattamento e che il 95% dei malati abbiano soppresso
la carica virale del virus.
[2] https://www.devex.com/news/inside-namibia-s-hiv-success-story-93215
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