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Può essere un invito, un consiglio, un avviso: è tempo di cambiare rotta, è tempo di rivoluzione! Non possiamo più far finta di niente, è tempo di una rivolta che sia pacifica e che porti ad una nuova consapevolezza: quella che è ora di cambiare il nostro modo di pensare e di fruire la moda.
di Matteo Orsini
La moda intesa come scelta
consapevole di ciò che siamo e cosa vogliamo indossare, lontana dallo
stereotipo del “mordi e fuggi”, dalle produzioni spasmodiche di abbigliamento
per accontentare una richiesta sempre più veloce di fruizione dell’abito, che
viene sottoposto ad una vita sempre più breve.
Il tema della sostenibilità è
diventato di tendenza solo negli ultimi anni. Poche ma rilevanti eccezioni
negli ultimi 30 anni, come Franco Moschino o Marina Spadafora che hanno
iniziato a parlare di questi temi agli addetti ai lavori del fashion system. Oppure realtà, al tempo
giovani, come la nostra da sempre attiva rispetto ai temi dell’ecologia,
della sostenibilità e dell’upcycling.
Non a caso, recentemente abbiamo collaborato con Domus Academy , mettendo a disposizione alcuni capi per il Fashion Identity Workshop, diretto da Marina Spadafora, all’interno del Master in Fashion Design.
Col passare degli anni, Humana People
to People Italia si è collocata al centro di questo cambiamento e i nostri negozi sono stati i messaggeri nelle città italiane, attraverso l’acquisto consapevole,
il riutilizzo o il riciclo di abiti e accessori.
Un legame forte quello tra i
negozi di Humana e il movimento Fashion Revolution Italia (dal 19 al 25 aprile 2021 ci sarà la prossima Fashion Revolution Week).
“Who made your clothes?” recitavano i cartelli nelle nostre
vetrine. “Chi ha fatto i tuoi vestiti?”, letteralmente. Si voleva richiamare l’attenzione
allo sfruttamento della manodopera impiegata nella produzione
dell’abbigliamento, dopo il disastro avvenuto in Bangladesh: oltre 1000 morti e
feriti in una industria manifatturiera.
Mani, forbici, ago e filo nelle vetrine
per ricordare l’impiego usurante del capitale umano e materiale dietro alla
produzione di abiti, di scarpe, per soddisfare un mercato e un consumo
dell’abbigliamento troppo veloce e troppo poco attento ai temi etici e
ambientali.
In questa dimensione, i nostri negozi si sono fatti portavoce di questo cambiamento: un modo nuovo di pensare
l’abito, la fruizione e la gestione di esso anche quando non va più bene, promuovendo
la cultura del riuso. Non solo perché, nella moda, “tutto torna” ma soprattutto
per dare un segno concreto e tangibile del cambiamento che ci auspichiamo.
Il risultato è stato l’incremento
sempre più ampio del successo dei negozi di Humana, in termini di consenso,
adesione e partecipazione attiva: i clienti e i donatori sono anch’essi persone
“fatte di fatti”! Scegliendo di comprare un capo vintage si fanno protagonisti
di una battaglia che combatte contro, non
solo l’omologazione di immagine di massa indotto dalle case di moda, ma anche contro
il consumismo smodato a cui il sistema capitalistico induce.
Comprare un abito usato o donare
il proprio abito è un atto rivoluzionario.
E che fashion revolution sia!
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