Il jeans, ancora una volta, icona del cambiamento

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  Il jeans ha un fascino intramontabile, tuttavia non bisogna dimenticare che genera un impatto ambientale importante. Per ridurlo, si fanno strada diversi progetti sui fronti del design e del riciclo. di Redazione Nel mondo occidentale, il jeans è sicuramente il materiale più iconico nel settore tessile e nella moda in generale. Il più versatile e anche il più controverso, quando si parla delle sue origini. Il primo tessuto “blue jeans” pare sia stato realizzato in una fabbrica manifatturiera di Nîmes, in Francia : da qui si pensa derivi la parola denim, ma c’è ancora molto dibattito in materia. Ci sono, infatti, testimonianze ben più antiche, come alcune statuine di presepe tardo settecentesche conservate al Museo Civico Luxoro di Genova, che sembrano documentare come il jeans fosse comunemente utilizzato per confezionare gli abiti da lavoro e da festa già all’epoca. Addirittura, i pantaloni indossati da Giuseppe Garibaldi quando partì nel 1860 alla volta di Marsala erano di fustagn

JOIN THE REVOLUTION!

 


    

Può essere un invito, un consiglio, un avviso: è tempo di cambiare rotta, è tempo di rivoluzione! Non possiamo più far finta di niente, è tempo di una rivolta che sia pacifica e che porti ad una nuova consapevolezza: quella che è ora di cambiare il nostro modo di pensare e di fruire la moda.

di Matteo Orsini

La moda intesa come scelta consapevole di ciò che siamo e cosa vogliamo indossare, lontana dallo stereotipo del “mordi e fuggi”, dalle produzioni spasmodiche di abbigliamento per accontentare una richiesta sempre più veloce di fruizione dell’abito, che viene sottoposto ad una vita sempre più breve.

Il tema della sostenibilità è diventato di tendenza solo negli ultimi anni. Poche ma rilevanti eccezioni negli ultimi 30 anni, come Franco Moschino o Marina Spadafora che hanno iniziato a parlare di questi temi agli addetti ai lavori del fashion system. Oppure realtà, al tempo giovani, come la nostra da sempre attiva rispetto ai temi dell’ecologia, della sostenibilità e dell’upcycling.

Non a caso, recentemente abbiamo collaborato con Domus Academy , mettendo a disposizione alcuni capi per il Fashion Identity Workshop, diretto da Marina Spadafora, all’interno del Master in Fashion Design.

Col passare degli anni, Humana People to People Italia si è collocata al centro di questo cambiamento e i nostri negozi sono stati i messaggeri nelle città italiane, attraverso l’acquisto consapevole, il riutilizzo o il riciclo di abiti e accessori.


Fashion Revolution, appunto! Un cordone di persone “fatte di fatti”, opinioni ma soprattutto iniziative.

Un legame forte quello tra i negozi di Humana e il movimento Fashion Revolution Italia (dal 19 al 25 aprile 2021 ci sarà la prossima Fashion Revolution Week).

“Who made your clothes?” recitavano i cartelli nelle nostre vetrine. “Chi ha fatto i tuoi vestiti?”, letteralmente. Si voleva richiamare l’attenzione allo sfruttamento della manodopera impiegata nella produzione dell’abbigliamento, dopo il disastro avvenuto in Bangladesh: oltre 1000 morti e feriti in una industria manifatturiera.

Mani, forbici, ago e filo nelle vetrine per ricordare l’impiego usurante del capitale umano e materiale dietro alla produzione di abiti, di scarpe, per soddisfare un mercato e un consumo dell’abbigliamento troppo veloce e troppo poco attento ai temi etici e ambientali.

In questa dimensione, i nostri negozi si sono fatti portavoce di questo cambiamento: un modo nuovo di pensare l’abito, la fruizione e la gestione di esso anche quando non va più bene, promuovendo la cultura del riuso. Non solo perché, nella moda, “tutto torna” ma soprattutto per dare un segno concreto e tangibile del cambiamento che ci auspichiamo.

Il risultato è stato l’incremento sempre più ampio del successo dei negozi di Humana, in termini di consenso, adesione e partecipazione attiva: i clienti e i donatori sono anch’essi persone “fatte di fatti”! Scegliendo di comprare un capo vintage si fanno protagonisti  di una battaglia che combatte contro, non solo l’omologazione di immagine di massa indotto dalle case di moda, ma anche contro il consumismo smodato a cui il sistema capitalistico induce.

Comprare un abito usato o donare il proprio abito è un atto rivoluzionario.

E che fashion revolution sia!




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