Il jeans, ancora una volta, icona del cambiamento

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  Il jeans ha un fascino intramontabile, tuttavia non bisogna dimenticare che genera un impatto ambientale importante. Per ridurlo, si fanno strada diversi progetti sui fronti del design e del riciclo. di Redazione Nel mondo occidentale, il jeans è sicuramente il materiale più iconico nel settore tessile e nella moda in generale. Il più versatile e anche il più controverso, quando si parla delle sue origini. Il primo tessuto “blue jeans” pare sia stato realizzato in una fabbrica manifatturiera di Nîmes, in Francia : da qui si pensa derivi la parola denim, ma c’è ancora molto dibattito in materia. Ci sono, infatti, testimonianze ben più antiche, come alcune statuine di presepe tardo settecentesche conservate al Museo Civico Luxoro di Genova, che sembrano documentare come il jeans fosse comunemente utilizzato per confezionare gli abiti da lavoro e da festa già all’epoca. Addirittura, i pantaloni indossati da Giuseppe Garibaldi quando partì nel 1860 alla volta di Marsala erano di fustagn

Verso modelli di economia circolare: il ruolo del consumatore





Il consumatore può essere il motore di un cambiamento che porti da un sistema di economia lineare a un modello di economia circolare. Per questo è necessario che sia consapevole del suo potere all'interno delle dinamiche del mercato.

La Redazione

“Consumo quindi esisto” questa affermazione sintetizza quella che è la definizione dell’individuo nella società del XXI secolo. L’origine etimologica delle espressioni lessicali legate a questa azione ne evidenzia la carica distruttiva: il verbo latino “consumere” è infatti traducibile come “ridurre a nulla”, “distruggere” e i suoi derivati nelle lingue europee, prima di essere utilizzati nel senso di usare beni materiali” significano appunto distruggere, sprecare, sperperare[1].

In questo senso il modello dell’economia lineare ha messo al centro delle sue dinamiche il consumo, facendone il suo mantra. Il paradigma del modello economico lineare si afferma nel contesto storico della seconda rivoluzione industriale e sono oltre 150 anni che domina il sistema economico. Secondo questa visione l’ambiente crea tutte le risorse necessarie all’uomo per poter dare al mercato quanto il mercato domanda. Quindi tutto si basa sulla richiesta di beni di consumo da parte del mercato. Questi beni derivano da input, risorse naturali che sono trasformate per diventare output: prodotti da commercializzare. Una volta usati, questi verranno buttati via perché inutilizzabili, in una logica usa e getta. Questo modello rispecchia perfettamente l’idea di progresso scientifico e tecnologico che caratterizza il contesto storico attuale, dominato dalla folle corsa alla ricerca del nuovo, per appagare il bisogno irrazionale di possedere oggetti per essere felici.

Questa visione non tiene conto dell’esauribilità delle risorse naturali come le fonti di energia non rinnovabili o degli impatti che i flussi di produzione hanno sull’ambiente. Attualmente la relazione tra economia e ambiente è tragica, gli scienziati hanno calcolato la data approssimativa in cui la domanda di risorse e servizi ecologici in un dato anno, supera ciò che la Terra può generare nell’anno stesso. Questa data è chiamata Earth Overshoot Day[2] e nel tempo è andata sempre più anticipandosi. Per mantenere in equilibrio questo deficit si liquidano le risorse ecologiche e si accumulano rifiuti, continuando a danneggiare l’ambiente e alimentando un sistema tossico che non è sostenibile sul lungo termine. La comunità scientifica e politica, con l’emergere delle crisi energetiche e dei problemi legati all’inquinamento su scala globale, è stata costretta a rivalutare il rapporto tra economia ed ambiente.

È in questo contesto che prende forma l’idea di un modello di economia circolare, ovvero l’affermazione di un paradigma resiliente che crei un valore economico, ambientale e sociale sul lungo termine: un nuovo modo di leggere i bisogni e consumi della società attuale. 

L’economia circolare può essere definita dalla sua attenzione alla massimizzazione di ciò che è già in uso lungo tutto il ciclo di vita di un prodotto: dall’approvvigionamento, alla catena di produzione, dal consumo, alle parti inutilizzabili rimanenti; il tutto in un’ottica di rigenerazione di risorse per nuovi o differenti scopi. Questo modello economico ci costringe a guardare le dinamiche di mercato da una prospettiva completamente diversa, rivedendo processi e obbiettivi di tutti gli snodi della catena di fornitura. Ad esempio, un meccanismo importante può essere rappresentato dal ridefinire le responsabilità dell’azienda per quello che viene chiamato fine di vita di un prodotto. Il fine vita di un prodotto, all’interno del sistema economico lineare, non ha valore per l’azienda, anzi è spesso un costo da dover sostenere. Se questo momento viene invece guardato in un contesto di economia circolare, acquista un’importanza strategica: qui avviene il processo di riqualificazione o riutilizzo del prodotto, che può essere reinserito in una nuova catena di produzione e iniziare così una “seconda vita”. È proprio questo cambio di prospettiva ciò che rende l’idea della circolarità dei consumi davvero dirompente, in quanto presuppone un infinito riutilizzo degli beni che vengono scomposti e ricomposti per usi totalmente diversi. Si stima che se questo nuovo paradigma di pensiero economico sarà applicato in maniera concreta, potrebbe potenzialmente ridurre il consumo di nuovi materiali del 32% entro 15 anni e del 53% entro il 2050[3].

Un esempio attuale e di successo di quella che è l’applicazione della circolarità dei consumi è rappresentato dall’attività di Humana People to People. La Federazione nasce dalla volontà di creare un valore economico, sociale e ambientale nel mondo. Per poter essere sostenibili a livello economico realizziamo in Europa e in Nord America la raccolta, lo smistamento e la rivendita degli abiti che vengono donati dai cittadini attraverso contenitori stradali. I vestiti che non verrebbero più indossati acquistano nuovo valore perché reimmessi sul mercato, creando così utili per sostenere i progetti di sviluppo che Humana realizza nel Sud del mondo. Indirettamente, contribuiamo a ridurre l’impatto negativo che l’industria del tessile ha sull’ambiente: il settore dell’abbigliamento produce infatti il 10% delle emissioni di diossido di carbonio nel mondo, più delle emissioni causate dai trasporti aerei o via nave di tutto il mondo. In questo senso, prolungare la “vita” aiuta a compensare parte di questo impatto negativo.

Il nostro obbiettivo è infatti quello di garantire che indumenti siano riutilizzati al meglio per poter creare valore sia sociale che ambientale. Nel 2020 abbiamo raccolto oltre 134.000 tonnellate di abiti usati in Europa e Stati Uniti[4]. Questi, una volta entrati nella nostra filiera, contribuiscono a evitare l’emissione di oltre 482.000 kg di CO2 che deriverebbero dalla produzione di nuovi indumenti. In questo modo creiamo non solo un impatto ambientale positivo, ma anche un valore economico e sociale [5].

Questo sistema di creazione di valore è solo uno delle tante applicazioni di successo del paradigma della circolarità dei consumi. Ma per far in modo che questa nuova prospettiva si consolidi e si applichi in un contesto socio-economico sempre più ampio, bisogna che tutti gli attori che concorrono alle dinamiche del mercato siano consapevoli di aver un potere all’interno di questo. Essendo la domanda a dettare le regole dell’offerta, i consumatori giocano un ruolo centrale: sono loro ad avere il potere di decidere in che direzione o in quale contesto investire i soldi e decidere così di far crescere una realtà piuttosto che un’altra. In un mondo globalizzato e fortemente interconnesso, l’azione di ogni singolo individuo ha una ricaduta che va ad amplificarsi nelle dinamiche socio economiche che dettano le regole del sistema. Le scelte di consumo di ognuno, come ad esempio decidere di comprare una maglietta da una grande azienda ad un prezzo stracciato, piuttosto che comprare la stessa maglietta ma in un negozio di second hand, ha delle conseguenze a livello sociale, ambientale ed economico da non sottovalutare. Diventa quindi fondamentale far in modo che le aziende comunichino in modo trasparente i loro processi di produzione e le loro policy; dall’altra è ugualmente importante che i consumatori siano soggetti consapevoli e informati, in grado di esercitare il proprio potere in maniera responsabile,[6]

 

 

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